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L’Europa chiama a confronto gli stakeholder sulla Direttiva 2014/95. L’Italia partirà a breve. Il punto centrale è quanto debbano essere dettagliati gli obblighi. La legge sulle diversity nei cda può essere la formula da replicare per educare al nuovo modello di impresa.

Non è solo un obbligo giuridico-contabile. Ma è l’occasione per condurre una operazione di educazione e di consapevolezza in merito a un modello d’impresa che, comunque, è destinato ad affermarsi. Nelle ultime settimane si è accesa l’attenzione sulla Direttiva Ue 2014/95, riguardante l’obbligo di rendicontazione delle informazioni non finanziarie da parte delle imprese di maggiori dimensioni (250 in Italia). Le date cominciano a essere strette: entro il 6 dicembre gli Stati nazionali devono mettere in atto i provvedimenti normativi che consentano l’adozione della direttiva. Con un certo anticipo rispetto a quella scadenza, si aspettano da Bruxelles le linee guida per comprendere quale sarà l’autonomia dei legislatori nazionali.

Quanto ampio sia l’ambito di applicazione, e quanto sia ancora alto il grado di indeterminatezza che si va ad affrontare, è evidente dalla consultazione europea avviata lo scorso 15 gennaio, in chiusura il prossimo 15 aprile.

Scorrendo le 11 domande, emerge un aspetto concettuale ancora irrisolto: il grado di dettaglio e di obbligo cui dovrà arrivare la legge. Il legislatore europeo appare ancora incerto in merito a quanto la norma debba regolare in modo imperativo gli aspetti più specifici della materia (standard adottabili; materie da rendicontare; obblighi di disclosure, di certificazione e di verifica), o quanto, viceversa, limitarsi a dettare le linee generali entro cui muoversi.

È evidentemente un trade off. Cioè, è impossibile trovare una soluzione determinata per l’equazione. Un eccesso di regolamentazione rischia di rendere la legge un’imposizione burocratica, mal digerita e mal gestita. Soprattutto, mal compresa e interiorizzata. Per contro, un approccio troppo soft rischia di lasciare troppa corda alle imprese e al sistema di advisor che le circonda. Questo sistema, almeno in Italia, appare tutt’altro che preparato di fronte a questi temi (basti pensare che anche i principali studi legali nazionali sembrano cadere dalle nuvole rispetto a tali problematiche). Il che rende improbabile che un modello troppo basato sulla moral suasion giunga a risultati concreti in tempi ridotti.
UN TRADE OFF DA QUOTE ROSA

La soluzione, insomma, si lega al grado di consapevolezza del sistema. Ma, per creare consapevolezza, potrebbe essere il caso di adottare lo stesso approccio utilizzato per le quote di genere: un obbligo a tempo. Imporre una soglia obbligatoria di presenza femminile per un determinato numero di anni, è stato in quel caso il pensiero del legislatore italiano, ne renderà evidente l’utilità ai vertici delle organizzazione. L’obbligo si trasformerà prima in consuetudine e poi in cultura. Rendendo la diversity un asset, e non più un onere o un costo.
UN OBBLIGO DI PENSARE INTEGRATO

Interpretata in quest’ottica di obbligo-educativo (con imposizioni limitate nel tempo, ma ben definite), l’adozione della direttiva non financial potrebbe trasformarsi nel treno giusto per dare impulso al sistema imprenditoriale italiano verso un modello diverso di fare impresa: quello dell’impresa integrata con la sostenibilità, con la sua responsabilità sociale, con il territorio. Di questo parla la direttiva 2014/95, dell’impresa del futuro, in quanto capace di (rendicontare) valorizzare non più un solo capitale, ma l’intero spettro di risorse che arricchiscono l’azienda. Ovvero, secondo quanto declinato dall’International Integrated Reporting Council, il capitale economico-finanziario, il capitale manifatturiero, il capitale umano, il capitale intellettuale, il capitale relazionale, il capitale ambientale.

Quello dell’integrated reporting, e dunque dell’integrated thinking, appare un balzo concettuale notevole. E sarà interessante, perciò, osservare i risultati dell’Osservatorio sull’Integrated Governance che ETicaNews, assieme a TopLegal, Nedcommunity, Sodali e Methodos, sta portando avanti sul campione delle aziende del Ftse Mib. La presentazione è fissata per il 24 di maggio. In tempo utile per aiutare le riflessioni del legislatore italiano.
OTTIMISMO SULLA CONSULTAZIONE ITALIANA

Intanto, la consultazione italiana sulla Direttiva non financial dovrebbe aprirsi a fine febbraio o inizio marzo, ha spiegato Gian Paolo Ruggiero, dirigente Ufficio IV della IV Direzione del Dipartimento del Tesoro, come riportato da ETicaNews la scorsa settimana. Ci sono due aspetti che confortano. Il primo è che il recepimento della Direttiva è in mano a una direzione tecnica del Tesoro che si occupa del “Sistema Bancario e Finanziario-Affari Legali”. Segno che la tematica è stata (giustamente) interpretata come inferente l’asse impresa-banca-investitori, dunque direttamente il cuore del sistema economico nazionale. Il secondo aspetto riguarda il grado di dettaglio con cui il Tesoro sembra prepararsi a regolare il recepimento. Ruggiero, nell’anticipare la consultazione italiana, ha declinato le problematiche da risolvere entrando assai più nel merito di quanto non faccia dalla già avviata iniziativa europea.

Ci sarà, probabilmente, da confrontarsi con resistenze corporative proporzionali all’invasività della legge. Ma vincere questa sfida costringerebbe l’impresa nazionale a spalancare la propria coscienza sul proprio futuro.

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